| ............Non si dovrebbe fare nulla che costasse l’abolizione della propria vita, non dovreste mai raggiungere quel punto entro il quale vi riconoscete talmente schiavi della situazione da non sapere più trarre piacere per voi. E’ questa la saggezza: viversi tutta la materialità nella sua pienezza, ma pronti a distaccarsene, come se una parte di voi vi partecipasse ed un’altra stesse a guardare ciò che state facendo. Quella parte di voi che sta a guardare è la vostra anima che guarda la vostra mente o il vostro corpo agire..........
............................................................................................ Dominare la materia (20 marzo 1974).
[...] C’è una vecchia affermazione di tipo spirituale spesso equivocata. Qualche volta l'ho usata anch'io, in particolari circostanze, dando luogo a qualche equivoco, lo riconosco: cioè, “voi, sulla terra, dovete elevare il vostro spirito e dominare la materia”. Questa è un'affermazione mia, lo riconosco, naturalmente, ma si presta a qualche equivoco. Il giusto senso di lettura dovrebbe essere più o meno questo: “ dominare la materia significa cercare di restare fuori pur essendone coinvolti. Cercando anzi di farsi coinvolgere, ma restandone fuori col giudizio, cioè quasi per osservare freddamente le cose che accadono al proprio corpo. Dominare il proprio corpo nel senso di creare una distanza tra luogo mentale e luogo materiale, in modo che, come dicevano alcuni (per la precisione il Bhagavad Gītā) “né per i vivi né per i morti i saggi menano cordoglio”. Questo è il senso del dominare la materia. Dominare la materia secondo alcuni, era allontanarsi completamente da ogni attività materiale; era vivere una vita quasi da eremita: no, non deve essere questa la vita vostra; sarebbe una vita forzata, non dico inutile, ma certamente improduttiva. Il senso vero è quello di entrare nella materia e farsi coinvolgere da essa; è avere una vita ricca e piena di esperienza, di emozioni, di fatti, di notizie, di conoscenze; è sete di sapere; è affrontare qualunque situazione e trarne esperienza; non indietreggiare mai, ma avendo sempre la forza di giudicare se stessi come se si trattasse di altri e restare tranquilli. Io vi posso assicurare che dal punto di vista di chi ha studiato o studia le teorie dello yoga, chi attua cioè queste cose non riesce neppure a soffrire, dirò, perché con questo principio portato al massimo grado della sua applicabilità, veramente gli eventi scorrono davanti come un fiume che non ci tocca e non ci bagna. Però, giunti a questo grado di concentrazione la nostra attesa e il nostro sguardo sono talmente vigili che riusciamo a cogliere il più piccolo rumore di questo fiume, il più lieve profumo dei fiori che il fiume trasporta; riusciamo cioè a vedere le dimensioni e le profondità di questo fiume che ci scorre davanti, come un fiume estraneo che però continuamente vibra dentro di noi.
Sicché non è vero che dominare la materia, nel senso come io l'ho indicato, significa assumere un aspetto cinico e sprezzante nei confronti degli eventi. No! Significa osservare lo stesso il proprio corpo. Vedete, alcuni maestri yogi, per esempio, facevano cose di questo genere, apparentemente assurde: tentavano di captare degli odori lontani. Siete veramente così affinati da riuscire a captare tutti gli odori? Oppure, se qualcuno vi tocca la mano, siete veramente capaci di trasformare questo in un'esperienza mentale? Siete capaci di avvertire il calore, le vibrazioni, la gradevolezza oppure la sgradevolezza di tale contatto? Voi non riuscite a sfruttare la vostra vita e la materia perché non sapete osservare, non sapete captare dalla materia quello che è, direi, la vita stessa della materia, il succo, l'essenza della materia. Quando voi riuscirete a fare questo vi accorgerete che le pene, molte pene spariranno, perché quando avrete riportato l'esperienza nell'alveo della ragione critica, cioè all'osservazione quasi esterna, con una partecipazione solo esteriore, alle vibrazioni di questa materia, molte delle vostre pene legate soltanto alle deformazioni della vostra mente, spariranno di colpo. [...]
Ed allora quella vita che sta osservando quel gesto o quella cosa che si sta facendo può essere fatta al massimo dell’intensità, ma sempre con un occhio vigile che si giudica, che trae beneficio, esperienza dall’osservare ciò che egli stesso sta facendo, come se l’azione appartenesse ad un altro. In quel momento realizzate la doppia visione: l’esperienza del fare e l’esperienza dello sguardo che vede ciò che sta accadendo. Questo diventa allora il modo con cui l’anima analizza e perlustra il suo cammino. E’ questa la logica del meditare, del pensare, la logica dell’esistenza dell’anima.
Ora, indipendentemente, esiste davvero il modo di vivere meglio, di vivere ogni emozione al suo massimo grado, di esperire relazioni ed emozioni con tutta la partecipazione possibile traendone tutto il significato possibile senza dover "morire di passioni e struggimenti" dolorosi.
Si tratta anche di educarsi a farlo, di formarsi, ciò richiede tempo e pazienza.
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